sabato 20 novembre 2010

Viaggio nell'infinitamente piccolo (o quasi)




Il video che vedete sopra illustra la vita e l'organizzazione interna di un mitocondrio, un organello cellulare dalla funzione importantissima (ne avevamo già parlato qui). Il filmato, realizzato da un gruppo di ricercatori nel laboratorio di biologia computazionale Biovisions ad Harvard (e realizzato in collaborazione con il sito specializzato XVIVO), è molto affascinante perché cerca di descrivere quello che succede all'interno delle nostre cellule se potessimo rimpicciolirci fino a raggiungere le dimensioni dell'ordine del miliardesimo di metro (nanometro). A queste dimensioni potremmo vedere come le proteine interagiscono le une con le altre e come i vari composti chimici si combinano con i complessi macro-molecolari che affollano quel groviglio che è la nostra cellula. Il filmato è in verità frutto di una simulazione al calcolatore basata solo in minima parte su dati biochimici e su informazioni relative alla struttura delle proteine, dando molto spazio alla fantasia: il grosso viene fatto infatti servendosi di calcolatori molto potenti e usando complessi motori grafici di rendering per la rappresentazione della forme tridimensionali delle proteine e delle varie componenti cellulari. Va sottolineato inoltre che molta dell'informazione scientifica racchiusa nel filmato è pura immaginazione: le scale di tempo che vengono rappresentate sono di là dalla potenza attuale dei calcolatori a disposizione dei biologi computazionali, e di conseguenza le proteine e i vari componenti cellulari non possono essere simulati in modo così dettagliato come mostrato nel filmato. Il limite imposto dagli attuali calcolatori (ne avevamo parlato qui) impedisce infatti per ora di indagare l'infinitamente piccolo in maniera così diretta e con tale dovizia di particolari. Rimane comunque un buon esercizio didattico e senz'altro utile come strumento di supporto per la formulazione di ipotesi e modelli biologici della dinamica cellulare.
Vi invito dunque a fare una salto su YouTube e dare un'occhiata ai vari video prodotti. Tra i molti a disposizione, mi ha colpito anche particolarmente quello postato qui sotto.

sabato 6 novembre 2010

Due storie a confronto

Il post di quest'oggi non è propriamente di argomento scientifico. O quasi. Leggendo infatti l'ultimo numero di Nature, alla sezione lavoro&carriere, apprendo che la Purdue University, nello stato dell'Indiana (Stati Uniti), si è vista riconoscere un finanziamento di circa 2 milioni di dollari erogato dal N.I.H. (l'analogo americano del nostro Istituto Superiore di Sanità). Lo scopo è di favorire l'accesso ai laboratori di ricerca da parte di persone su sedia a rotelle o con disabilità di vario tipo. Sembra infatti che da quelle parti si siano posti il problema di come realizzare idee scientificamente valide proposte da persone brillanti nel campo della ricerca biomedica, ma che non ne avevano avuto la possibilità in precedenza perché poco agibile risultava un moderno laboratorio di ricerca per gli ingombri di una carrozzina, o perché bisognosi dell'aiuto di qualcuno per poter usare la strumentazione scientifica. Ottima iniziativa dunque.
Qualche giorno dopo mi capita di leggere invece, su un noto quotidiano nazionale, della disavventura di un disabile milanese al quale si era bloccata la rampa di uscita dalla  metro e, per questo motivo, è dovuto rimanere letteralmente appeso in mezzo alla scalinata per circa un'ora e mezza, prima dell'arrivo dei vigili del fuoco che lo hanno potuto finalmente "liberare". Di là dal facile commento sulla presenza (o meno) delle barriere architettoniche sulle nostre strade, mi colpisce in particolare la diversa prospettiva: negli Stati Uniti infatti si sono posti il problema di rendere accessibili i laboratori di ricerca nelle università, mentre qui in Italia nessuno (o quasi) si è posto il problema di verificare se un montascale qualsiasi della metro di Milano funzionasse o meno. Questione di punti di vista insomma.

mercoledì 3 novembre 2010

Breve storia di un organello cellulare


Alcuni ricercatori dello University College di Londra hanno pubblicato un articolo sulla prestigiosa rivista Nature che riapre un vecchio dibattito sulla funzione dei mitocondri nel meccanismo che segnò il passaggio dalla vita mono-cellulare degli organismi procarioti (gli archeo-batteri e le alghe primordiali) alla vita multi-cellulare degli eucarioti (le piante e gli animali come li conosciamo oggi). Per chi è a digiuno di biologia cellulare, va ricordato che le cellule animali e vegetali che oggi osserviamo in natura consistono di proteine e cromosomi e una miriade di altri composti chimici immersi in una soluzione acquosa delimitata da una membrana di natura lipidica. Per il suo sostentamento la cellula si serve di strutture altamente specializzate (gli organelli cellulari) che eseguono compiti molto specifici. I mitocondri sono un esempio di queste strutture cellulari specializzate, la cui funzione è di generare energia per la cellula sotto forma di un composto chimico preciso: la molecola di ATP.  Beh, lo studio pubblicato è molto affascinante perché l'ipotesi avanzata da N. Lane e W. Martin ridefinisce sotto certi aspetti il ruolo avuto da questi organelli nell'evoluzione cellulare, e in ultima analisi nell'evoluzione animale in genere. La domanda che si sono posti è la seguente:  in che modo e per quali meccanismi la vita monocellulare procariota si è evoluta in organismi eucarioti pluri-cellulari? In verità il discorso è più articolato, avendo a che fare con la crescente complessità del genoma nel passaggio procarioti =>eucarioti e il conseguente costo energetico per la sintesi delle nuove proteine che tale aumento di geni ha comportato. Conti alla mano, i risultati dimostrano che il numero di Watt per grammo prodotto dai procarioti è insufficiente per sostenere la sintesi proteica, mentre negli eucarioti tale quantità risulta adeguata proprio grazie alla presenza dei mitocondri. Ma come si sono formati questi organelli? Un'ipotesi affascinante, peraltro ben nota ai biologi da qualche tempo, prevede che essi erano proto-batteri che sono stati inglobati dalle prime cellule eucariote tramite fagocitosi  e che tale endosimbiosi si è rivelata vantaggiosa del punto di vista evolutivo: infatti i mitocondri hanno un loro corredo di cromosomi e geni che ha consentito loro di produrre le proteine necessarie alla produzione di ATP (il carburante delle cellule stesse) e quindi energia a buon mercato. Gli autori stessi concludono: 
The transition to complex life on Earth was a unique event that hinged on a bioenergetic jump afforded by spatially combinatorial relations between two cells and two genomes (endosymbiosis), rather than natural selection acting on mutations accumulated gradually among physically isolated prokaryotic individuals. Given the energetic nature of these arguments, the same is likely to be true of any complex life elsewhere. (Nature, 2010, doi:10.1038/nature09486)