martedì 11 gennaio 2011

Psicologia e metodo scientifico

Prendo spunto da un articolo pubblicato la scorsa settimana sul New York Times e che riaccende un vecchio dibattito sul rapporto tra scienza e psicologia. In esso viene commentato uno studio scientifico apparso su una importante rivista specializzata, e quindi soggetto alla procedura del peer-reviewing (ovvero la verifica dei risultati riportati tramite la lettura critica da parte di soggetti terzi).
Il manoscritto, pubblicato sul The Journal of Personality and Social Psychology, descrive uno studio fatto presso la Cornell University di New York secondo il quale è stata osservata la capacità, all'interno di un campione di studenti, di prevedere in maniera precisa l'esito di eventi casuali. Vengono riportati alcuni esperimenti eseguiti a sostegno di tale conclusione, come ad esempio percepire la presenza di una certa immagine sulla parte destra o sinistra di uno schermo televisivo nascosto alla visuale. Le argomentazioni fornite nell'articolo si basano in parte, secondo gli autori, su tecniche di memorizzazione e catalogazione di alcune parole chiave, che aiuterebbero i soggetti coinvolti nello studio a sviluppare capacità extra-sensoriali. Sembrerebbe dunque un risultato importante e che pone in rilievo alcuni aspetti della nostra psiche molto affascinanti, e allo stesso tempo inattesi. Peccato però, che, a detta del Times, nessun altro laboratorio è stato in grado di ripetere l'esperimento con gli stessi risultati. Lascio al lettore la curiosità di leggere il lavoro originale (che potete scaricare qui) per trarre ognuno le proprie conclusioni. Mi limito qui a fare due considerazioni.
La prima riguarda un problema di fondo: in che misura è possibile applicare il metodo rigoroso dell'indagine scientifica nell'ambito della psicologia? In altri termini: è corretto considerare quest'ultima come una scienza esatta? Il dibattito è ovviamente aperto e ricco di spunti di riflessione. Il mio personale punto di vista è il seguente: un risultato o una teoria scientifica, per considerarsi tale, deve rispondere a due requisiti fondamentali: riproducibilità e falsificabilità (concetti peraltro magistralmente espressi qui). In altri termini: se solo io sono in grado di osservare certe cose e nessun altro, messo nelle stesse condizioni, riesce a ottenere gli stessi risultati, è molto probabile che sto commettendo un errore di osservazione (o di metodo, è ininfluente ai fini del discorso).
Il secondo aspetto che vorrei sottoporvi all'attenzione è più pratico. Il progresso dei risultati scientifici si basa, come accennato all'inizio, anche sulla procedura cosiddetta del peer-reviewing: i dati pubblicati vengono sottoposti al vaglio di uno o più esperti del settore, che analizzano la procedura svolta, i risultati ottenuti e le conclusioni riportate dagli autori dell'articolo. Questo è allo stato dei fatti l'unico metodo pratico per poter verificare l'accuratezza dell'indagine scientifica e la validità delle conclusioni proposte. Con un unico inconveniente però: se l'arbitro (colui che controlla i dati) non riesce a cogliere potenziali errori della metodologia usata dagli autori si corre il rischio che vengano pubblicati dati non rigorosi da un punto di vista matematico. E di conseguenza si rallenta il cammino della scienza. Ciò non deve spaventare comunque: sono casi rari e quasi sempre corretti o superati da altri articoli che confermano o smentiscono i risultati precedenti. E' la caratteristica stessa del processo di reviewing. 
In conclusione: l'articolo sulle capacità extra-sensoriali di alcuni studenti della Cornell University sta suscitando ampio dibattito negli ambienti, proprio per la mancanza di uno dei requisiti fondamentali dell'indagine scientifica, ovvero la riproducibilità dei risultati. Rimane tuttora da verificare se tali requisiti siano effettivamente proprietà intrinseca delle "scienze psicologiche" oppure no.