domenica 8 maggio 2011

Scienza fai da te

Alla fine l'ho fatto! E' stata una cosa quasi inevitabile. Ho cercato di resistere finché ho potuto, ma ogni resistenza è stata futile... In verità è stato più facile di quanto pensassi. Insomma: mi sono creato un account su Facebook! L'attrazione per una comunità di quasi 600 milioni di persone (la terza nazione al mondo, dopo Cina e India) è stata più forte e il fascino ha prevalso sulla diffidenza. Io per la verità sono sempre stato uno fedele a Twitter, che tuttora considero un buon sito e anche geniale per certi versi. In pratica Facebook non era molto nei miei programmi, ma ho voluto tentare lo stesso, anche per diffondere meglio in rete queste mie divagazioni...
Le prime impressioni sono state comunque positive: è un buon prodotto, non c'è che dire, con la possibilità di creare pagine proprie, gruppi di discussione tutti nostri. Inoltre si possono  condividere links, foto, eventi, ed anche i propri tweets! Tutto molto bello. Però...
Dopo circa un mese di navigazione comincio a sperimentare tutto ciò di negativo di cui avevo sentito parlare e del quale sospettavo già di mio. A cominciare dalla quasi totale assenza di privacy, che per la verità non è il male estremo: insomma uno su Facebook ci va proprio perché vuole condividere, e di conseguenza il privato è un optional. Inoltre si può sempre scegliere cosa condividere e con chi. Molto bello...
Poi un giorno leggo questo articolo e i miei dubbi trovano una inquietante conferma! Viene riportato il caso di un medico di Ferrara, che asserisce di avere trovato una cura per la sclerosi multipla, la nota e grave malattia auto-immune. E di questa scoperta ha fatto anche una pagina su Facebook molto seguita, con numerosi contatti che chiedono informazioni per ottenerne la cura medica. Il fatto viene anche riportato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, che lo assume ad esempio di come il fenomeno dei social networks influisca sulle scelte di consumo e di indirizzo da parte della società civile. 
Ci sono due aspetti che maggiormente mi colpiscono in tutta questa vicenda.
Il primo riguarda il pericolo derivante dalla diffusione di una notizia che, potenzialmente, potrebbe avere un'impatto notevolissimo sulla qualità della vita di moltissime persone, spesso in stato invalidante. Va detto anche che non mi aspetto che la notizia sia falsa a priori, anche se leggendo i fondamenti scientifici della scoperta ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli... Da questo punto di vista mi sembra evidente che Facebook non riesce a distinguere una potenziale conquista scientifica da una boiata pazzesca. E questo non è bello...
L'altro aspetto è invece più tecnico se volete, più legato al modo in cui il sapere scientifico viene acquisito e scrupolosamente verificato. Il progresso scientifico passa inevitabilmente attraverso un processo di continua verifica e vaglio dei dati ottenuti tramite esperimenti che confermano o confutano ipotesi e modelli matematici proposti (ne avevamo parlato anche qui e qui). Solo in questo modo possiamo essere sicuri dell'avanzamento del sapere scientifico. Qualsiasi altro mezzo di avanzamento, compreso quello di diffondere dati nei social media per ottenere consensi e credito presso il grande pubblico è destinato a fallire nel lungo termine.
Almeno questo è quello che spero...

1 commento:

Anonimo ha detto...

Dicono che Obama abbia vinto le elezioni grazie a la propaganda (nota l'uso della parola di Goebblesiana memoria) fatta con Facebook, o peggio, con Tweeter. Può darsi. Ora è presidente degli USA, con una grande popolarità per aver mandato uccidere un presunto delinquente senza giudizio, e anche con un premio Nobel per le intenzioni. Infine, tutto nel regolarissimo ambito del virtuale.
Ebbene si, io c'è l'ho con Facebook. Ho visto tra i miei studenti come crea dipendenza, fa credere che tutto sia verità ( è sulla rete, ergo è vero?), e riduce le relazioni personali a brevi messaggi. Si potrebbe dire che anch'io ci sto cascando a questa disumanizzazione della comunicazione dal momento che scrivo queste cose come commento in un blog. Ma cerco sempre, e in ogni caso, di comunicare direttamente con il destinatario di questi commenti, al telefono, se siamo lontani, o di persona, quando è possibile, in piacevoli incontri dove si discute di tutto. Cosi come mantengo corrispondenza con tanti amici, comunicando con loro mediante la posta elettronica, il sostituto delle vecchie lettere col francobollo (addio filatelia!), dove cerco di comunicare con la persona, e non con un gruppo virtuale. Si, queste reti sociali, detti "social networks" per chi sta perfino perdendo la capacità di esprimersi nella propria lingua, costituiscono l'imbastardimento della comunicazione, dove le persone vengo sostituite da gruppi e dove, in realtà, non sai a chi parli o scrivi. No, forse sto invecchiando, ma non ci so, e cercherò di resistere a lungo.
Inoltre c'è sempre il solito problema della irresponsabilità del messaggio. Io sono, in principio, contrario alla censura. Ma la diffusione di notizie distorte, sbagliate, irresponsabili, che possono arrecare danno fisico o psicologico, hanno bisogno di meccanismi di controllo. Non so quale sia la soluzione, ma ci vuole questo maledetto controllo, censura? In scienza siamo abituatissere controllati dai nostri pari, mediante un processo che si chiama "rrrecensione dei pari" ("""peer review"), dove quello che voliamo dire viene messo a vaglio da un gruppo di persone con la nostra stessa qualifica, la quale da la propria opinione sulla validità dellnostrere proposte, a ai quali possiamo dare ulteriori spiegazioni, o contestare il loro giudizio. É il modo in cui possiamo dar credito alle pubblicazione di nuove scoperte ed idee. E in Facebook? ci dobbiamo credere e basta?
No, non ci sto!